L’edificio sacro, del Monastero di Regina Coeli, che accoglie una Comunità religiosa composta di Monache Francescane di clausura, fu voluto ardentemente dal duca Ferdinando Caracciolo sin dal 1593 e, dopo la sua morte, avvenuta il 20 Settembre 1596, il figlio Francesco Caracciolo portò a termine il nuovo Monastero e il 14 Marzo 1620, fu redatta una scrittura di fondazione, dal notaio Ettore Pepe di Montesarchio.
Il Monastero al suo interno conserva un’elegante e preziosa cappella, commissionata da Vincenzo Gasparre e donna Ippolita Carafa nel XVI secolo, decorata su tutte le pareti da bellissimi affreschi di pregevole fattura e di alto valore storico artistico. La volta e le pareti del piccolo ambiente vennero decorate ad affresco da un raffinato intenditore d’arte del XVI secolo.
In fondo al catino absidale, in alto troviamo la raffigurazione della “Crocifissione” con San Francesco e San Gerolamo, dove il Cristo in croce imprime nel corpo di Francesco, alla sua destra, le stimmate, questa è l’immagine della visione che il Santo ebbe sul monte della Verna; San Gerolamo, a sinistra della Croce, con un manto rosso cardinalizio secondo l’errata interpretazione diffusa nel Medioevo che lo credeva cardinale, si percuote il petto con una pietra in segno di penitenza, ma anche per vincere le tentazioni della carne, il Santo è accompagnato da un leone che, secondo la Legenda Aurea, fu guarito da una ferita alla zampa dal Santo e non lo lasciò più; è considerato simbolo della forza bruta vinta con la pietà.
Al centro della parete è raffigurata “La Madonna delle Grazie in trono con il bambino” , a destra S. Caterina D’Alessandria che è riconoscibile grazie agli attributi iconografici della ruota dentata, con la quale doveva essere giustiziata ma per intervento divino questa si ruppe e la giovane fu salvata, e la spada con cui infine fu decapitata e dal suo collo sgorgò del latte; a sinistra della Madonna è Santa Lucia che tiene nella mano destra una palma e nella sinistra un piatto con gli occhi, suo attributo iconografico.
Addossato alla parete vi è l’altarino con la raffigurazione di “Gesù Risorto” pronto a librarsi nel cielo come una liberazione di energie. L’ignoto artista, della cappella “Carafa”, sceglie per la scena la versione silenziosa e solitaria, senza alcuna apparizione di figure celesti, con Gesù frontale.
Lungo la parete destra compaiono le figure dei Santi Lucia, Giovanni, Sebastiano, Rocco.
Santa Lucia, che morì martire a Siracusa intorno al 304 durante le persecuzioni di Diocleziano, è rappresentata con gli occhi su un piatto e con la palma simbolo del martirio; San Giovanni Battista è invece raffigurato con l’abito povero da eremita, fatto di pelliccia, secondo il Vangelo di peli di cammello. Fu precursore di Gesù, vivendo come eremita nel deserto, predicando la conversione e battezzando presso il fiume Giordano. Il gesto del Battista è inequivocabile: ispirato dal cielo, indica con la mano destra, l’agnello, prefigurazione di Gesù, destinato ad essere offerto in sacrificio per espiare i peccati degli uomini.
Continuando vi è la figura di S. Sebastiano, soldato originario della Gallia, che convertito al Cristianesimo approfittò della sua posizione per aiutare altri cristiani che erano rinchiusi nelle carceri, e per questo venne condannato a morte dall’Imperatore e legato alla colonna e sottoposto al lancio delle frecce. Nella tradizione popolare le ferite del Santo erano paragonate a quelle di Cristo, per questo forse l’artista della cappella “Carafa” dipinge cinque frecce.
L’ultima figura, che compare lungo la parete della cappella, è San Rocco che tiene con la mano destra un bastone, attributo del pellegrino, e con la sinistra mostra una piaga di appestato sulla coscia.
Sulla parete opposta, oltre alla figura di una “Suora”, forse la figlia di Francesco Caracciolo e, una Santa probabilmente “Santa Lucia”, troviamo la raffigurazione della “Testa di San Giovanni Battista tra due Vescovi” e, le figure di S. Antonio da Padova e San Pietro. S. Antonio è in abito francescano, con un libro e il giglio bianco, mentre San Pietro, è nella sua classica fisionomia, fissata già dal secolo V sulla base della descrizione di Eusebio di Cesare (secolo III-IV) con capelli corti e ricci, barba corta e crespa e tratti segnati. Pietro tiene nella mano destra un libro e nella sinistra la chiave, simbolo della chiave del cielo, che Gesù gli promise quando fondò su di lui la Chiesa.
Sul lato opposto alla lunetta della “Crocifissione” è affrescata la scena della “Resurrezione di Gesù”. I soldati, messi a guardia del sepolcro per sventare l’eventuale tentativo di un
trafugamento del corpo di Gesù, sono quattro di cui due, poggiati sul sarcofago, giacciono profondamente addormentati, gli altri due, invece, presi dallo stupore cercano di risvegliarli.
Nella controfacciata della lunetta troviamo raffigurati al centro S. Bernardo di Clairvaux tra San Benedetto a destra e S. Domenico a sinistra.
Bernardo di Clairvaux è solitamente rappresentato in abito bianco dei cistercensi con pastorale abbaziale e libro come dottore della Chiesa; la particolarità della nostra pittura è l’abito talare nero che indossa il Santo, però siamo certi che si tratti di lui per la mitra posta ai suoi piedi come simbolo del rifiuto della carica vescovile.
Nella parte alta della parete destra è possibile riconoscere la “Conversione di S. Eustacchio”. Un giorno, il soldato romano dell’imperatore Traiano, Placido, così si chiamava prima della conversione, cacciando, inseguì un cervo che, separandosi dal branco, si era allontanato nel fitto bosco. Tra le corna dell’animale vide un crocifisso che per mezzo del cervo gli parlò: “Io sono Gesù che onori senza saperlo”. Nella scena della cappella “Carafa”, S. Eustacchio, con le mani giunte, è in ginocchio davanti al cervo mentre il suo cavallo, spaventato dall’apparizione improvvisa, pare voler indietreggiare.
Quel che rimane della raffigurazione di S. Michele Arcangelo che sconfigge il drago, compare nell’ultima lunetta tra l’apertura indecente di una finestra; si vede soltanto la parte posteriore del demonio nelle sembianze di un drago, combattuto e sconfitto da Michele. L’immagine dell’Arcangelo Michele è stata completamente distrutta dall’apertura successiva di una finestra, probabilmente era vestito con armatura, frequentemente suo attributo, poiché indicava che era a capo delle schiere celesti con cui combatté il demonio.
Le pitture sono caratterizzate dalla esaltazione dei valori cromatici del pigmento e da improvvise accensioni luminose che movimentano le figure. I panneggi, inoltre, fluiscono morbidi lungo i corpi, mettendo in evidenza la formazione anatomica.
E’ con grande soddisfazione che presento questo importante gioiello rinascimentale della nostra cittadina di Airola, e mi auguro che sia finito il tempo di tenere nascosto quanto è indispensabile all’educazione dei cittadini.
ETTORE RUGGIERO
Estratto da “Il Sannio Quotidiano” – Cultura e Spettacoli – del 1 maggio 2007, p. 22