AIROLA. UN RICCO PATRIMONIO ARCHEOLOGICO

Oltre al cospicuo patrimonio di opere d’arte Airola conserva anche interessanti reperti archeologici oggi raggruppati, in modo alquanto disordinato, lungo il chiostro di Palazzo Montevergine. 

Alla fine del 1800 Ferdinando Colonna dei Principi di Stigliano, imparentato ad Airola, iniziò una vera e propria ricerca archeologia sul territorio radunando, nell’ex Convento dei Domenicani divenuto poi Municipio, tutto ciò che di antico si era rinvenuto nella cittadina.

Per comprendere al meglio tali reperti bisogna partire dalla vittoria strepitosa, riportata nell’anno 433 di Roma dai Sanniti sui Romani, i quali si videro costretti a passare sotto le umilianti forche, che, per la vicinanza alla città, presero la denominazione di Caudine, i Romani per vendicare un tale affronto presero di mira i Sanniti e l’epilogo si ebbe quando, nell’anno 673 di Roma, Lucio Silla rase al suolo la città di Caudio. Secondo Appiano, Strabone e qualche altro storico, nel generale sterminio sarebbe stata risparmiata un’Ara di Giove con poche vicine abitazioni. Intorno ad esse mano a mano se ne sarebbero aggiunte altre, che cominciarono ad essere denominate “Ad Aram Jovis” presso l’Altare di Giove[1].

Le iscrizioni ritrovate ad Airola, Arpaia e Montesarchio, confermano che la colonia romana di Caudio doveva comprendere il territorio di tutta l’attuale valle caudina.

Anche Airola faceva parte della colonia romana-caudina, come risulta da ben sette epigrafi di epoca romana, riportate nell’elenco dei monumenti antichi fin dal 1889, quando, a seguito di una spedizione archeologica condotta da 24 professori dell’Università di Heidelberg (tra cui Mommsen), sotto la direzione del Prof. Frederic Von Duhn, l’ispettore degli scavi e monumenti di Napoli, Ferdinando Colonna, ebbe cura di stendere una relazione su quanto era stato ritrovato.

Meritano menzione alcune epigrafi ritrovate ad Airola tra cui quella ritrovata sul Tairano che testimonia la presenza di una basilica romana.

Il frammento di epigrafe in marmo, oggi nel chiostro del Palazzo Montevergine, si trovava a lato del portone del Maggiore D. Nicola Mango, che il Montella ricorda abitante vicino la Chiesa di S. Carlo. La mutila iscrizione fu regalata al Municipio nel 1895 dalla famiglia Mango, che la teneva da tanti anni vicino al portone principale del proprio palazzo. Sul posto si contentarono di mettere un fac simile.

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Frammento di epigrafe

TRASCRIZIONE:

…SONIVS L. F. LIB.

PATRONVS

…LICAM – DE – SUA

VNIA – DEDIT

Il Montella interpreta:

AVSONIVS L.F. LIBERTVS

PATRONVS

BASILICAM DE SVA

PIA DEDIT

Per Angelo Raffaele Capone l’iterpretazione risulta piuttosto esatta ma è preferibile però interpretare il frammento ONIVS con le lettere Vavonius al posto di Ausonius[2] e a tal proposito è possibile ricordare per analogia l’altra epigrafe, con base in pietra calcarea, ritrovata pure ad Airola, che porta le seguenti lettere:

VAVONIO C.

2

Epigrafe

Per questa iscrizione contrariamente alla versione di Colonna Ferdinando che intende la lettera C. per COS (consuli), ma invece è probabile interpretazione nel senso di “Caudino”.

In fondo il romano – caudino Quinto Vavonio avrebbe a proprie spese costruito una Basilica (forse un tempio nella città natale di Airola).[3]

Inoltre è possibile notare in essa che la parola “Basilica” può riferirsi all’uso romano e non al Cristiano. In tal caso avremmo un edifizio importante, degno di una città, come Caudio, dal quale molti storici fanno discendere Airola.

Capitello n: 1

Capitello n. 1

Di questo tempio sono stati trovati anche dei capitelli che costituiscono i pezzi più interessanti, reperti sistemati prima a San Domenico poi nell’ex Palazzo Pretura e oggi accantonati senza un discorso filologico nel chiostro di Montevergine.

Che vi sia stato questo Tempio o Basilica nel territorio di Airola, si ravvisa anche da molti tronchi di colonna di granito orientale sistentino sulle strade e nell’interno dei palazzi, portati dai Greci allorché penetrarono nella Sicilia e nell’Italia, dove formarono delle Nazioni.

Pratili ci narra: che, fin da un secolo dietro, nelle vicinanze di Airola vi era un’Ara votiva di marmo intagliato colla patera e coll’orcio del sacrificio, di cui sulla faccia d’avanti era effigiata in mezzo rilievo un’Ara col fuoco sacro, una vacca con due figure sacrificanti, ed un’altra genuflessa con questa iscrizione:

IVNONI

LVCINAE

VOTVM

NVNNIA IANVARIA

POS

 

Raffaele Caporuscio interpreta:

IUNONI

LUCINAE

VOTum

NUNNIA IANUARIA

POSuit

TRADUZIONE: A Giunone dea della luce – come voto Nunzia Gianuaria pose.

Il nome della donna che si rivolge a Giunone Lucina, è tipicamente romano, così come antichissimo e precristiano è il culto in onore della dea G. Lucina (dea della luce), che presiedeva ai parti. Doveva far questo voto Nunzia Gianuaria per un difficile parto.

Servio Tullo Re di Roma, al riferire di Dionigi Alicarnasseo, istituì un pubblico erario a Giunone Lucina, nel quale per ciascun parto si dovesse una certa moneta, quasi per gratitudine, dai genitori riporre[4].

Tanto ancora è conservato nel chiostro di Palazzo Montevergine che grida a gran voce di essere valorizzato e riscoperto.

ETTORE RUGGIERO

 

 

 

[1] P. Filippo della S. Famiglia C. P. Monografia della Chiesa e del ritiro dei PP. Passionisti in Airola (Benevento). Napoli, 1966 pp. 99-100

[2] A. R. CAPONE Nuovi Contributi alla Storia di Airola.  Estratto da ANNUARIO (1962 – 63) del LICEO – GINNASIO STATALE DI AIROLA.

[3] A. R. Capone “Nuovi Contributi alla Storia di Airola”, Estratto da Annuario (1962 – 63) del Liceo Ginnasio Statale di Airola. 1991. p. 14

[4] F. Pratili: “Della Via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi” De Simone Ed. NA 1745. p. 398

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